(Incontro del 10.06.2010)
Il morire fa parte della vita e questi momenti finali possono essere l’ultima occasione per dare senso alla vita stessa, ma forse anche per intendere qualcosa della morte, data la loro inscindibilità. Oggigiorno, tuttavia, il morente viene sempre più deprivato di questa possibilità personale a causa di ingerenze esterne, come ad esempio i criteri “scientifici” fissati dalla biomedicina, che pretendono di stabilire il limite fra la vita e la morte. Ciò sottrae quest’ultima alla sua natura, rendendo la morte sempre più artificiale, come appare in maniera evidente quando si applicano ad oltranza interventi sanitari che sconfinano nell’accanimento terapeutico.
Tenuti in debito conto questi fattori esterni, frenanti la personalizzazione del morire, va detto che esistono anche fattori interni che favoriscono il prendersi cura della fine della vita, e che fanno capo alla nostra idea di soddisfazione. Uno di essi, forse il più importante, riguarda l’idea di “limite”, da cui procede la soddisfazione stessa, ma che è anche una condizione su cui dovrebbe essere improntata tutta la vita. Limite sia rispetto all’onnipotenza, a partire dalla consapevolezza che da soli non ci bastiamo, e limite sia rispetto all’immortalità, se riusciamo a interiorizzare il nostro essere precari al mondo.
Questo secondo aspetto fa riferimento a ciò che noi chiamiamo “percorso d’invecchiamento”, un cammino che dura tutta la vita, fatto di perdite irreversibili (ma anche di acquisizioni), fino all’essenza della morte stessa in quanto perdita definitiva. Eluso questo percorso si incontra l’angoscia, che è altra cosa rispetto alla paura della morte che ognuno più o meno può provare, perché semmai è negazione della morte. Va detto infine che per prendersi cura di questi momenti particolari è importante essere accompagnati da figure in grado di aiutare il morente ad “esserci nel suo morire”. Ne va della soddisfazione finale.
Il morire fa parte della vita e questi momenti finali possono essere l’ultima occasione per dare senso alla vita stessa, ma forse anche per intendere qualcosa della morte, data la loro inscindibilità. Oggigiorno, tuttavia, il morente viene sempre più deprivato di questa possibilità personale a causa di ingerenze esterne, come ad esempio i criteri “scientifici” fissati dalla biomedicina, che pretendono di stabilire il limite fra la vita e la morte. Ciò sottrae quest’ultima alla sua natura, rendendo la morte sempre più artificiale, come appare in maniera evidente quando si applicano ad oltranza interventi sanitari che sconfinano nell’accanimento terapeutico.
Tenuti in debito conto questi fattori esterni, frenanti la personalizzazione del morire, va detto che esistono anche fattori interni che favoriscono il prendersi cura della fine della vita, e che fanno capo alla nostra idea di soddisfazione. Uno di essi, forse il più importante, riguarda l’idea di “limite”, da cui procede la soddisfazione stessa, ma che è anche una condizione su cui dovrebbe essere improntata tutta la vita. Limite sia rispetto all’onnipotenza, a partire dalla consapevolezza che da soli non ci bastiamo, e limite sia rispetto all’immortalità, se riusciamo a interiorizzare il nostro essere precari al mondo.
Questo secondo aspetto fa riferimento a ciò che noi chiamiamo “percorso d’invecchiamento”, un cammino che dura tutta la vita, fatto di perdite irreversibili (ma anche di acquisizioni), fino all’essenza della morte stessa in quanto perdita definitiva. Eluso questo percorso si incontra l’angoscia, che è altra cosa rispetto alla paura della morte che ognuno più o meno può provare, perché semmai è negazione della morte. Va detto infine che per prendersi cura di questi momenti particolari è importante essere accompagnati da figure in grado di aiutare il morente ad “esserci nel suo morire”. Ne va della soddisfazione finale.
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La Soddisfazione nella Casa di Riposo – cap. 07 – Prendersi cura della fine della vita
