(Incontro del 15.04.2010)
Negli spazi di una Casa di Riposo si vive per necessità fra prossimi, ossia tra vicini anche a stretto contatto, e ciò rende difficile la convivenza stessa, per la quale si rende ovviamente necessaria una certa tolleranza.
Ma questa capacità, come la sua reciproca del non arrecare disturbo, non è un fatto di mera educazione, che si può realizzare anche ignorandosi, non parlandosi, come del resto avviene in questi ambienti.
Si tratta, al contrario, di farsi prossimo – approssimarsi – ossia avvicinarsi all’altro, senza peraltro invadere il campo altrui, come invece avviene nei “comandi”, una modalità che causa “di-sagio”.
Questo tipo di disagio mette in un secondo piano il così detto disagio dell’”anziano”, ossia il malessere misurato in acciacchi o in difficoltà varie, mentre evidenzia il venir meno dello spazio di soggettività giacché soppiantato da intrusioni esterne, da pregiudizi.
E’ da tale soggettività – di pensiero – che procede la soddisfazione la quale, essendo anche foriera di una certa serenità, facilita la tolleranza stessa; è una conseguenza analoga al fatto per cui, assecondando il desiderio si avverte meno il bisogno.
E’ possibile dire, anche a seguito di queste considerazioni, che nella casa di riposo il primo posto, in ordine d’importanza, spetta al rapporto fra gli ospiti, perché i prossimi sono anzitutto costoro, a patto che compiano movimenti di avvicinamento. In questo vanno aiutati.
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