(Incontro del 15.10.2009)
Il progressivo aumento della longevità si sta definendo sempre più in termini di sopravvivenza piuttosto che di vita perché, a mano a mano che passano gli anni, risulta sempre più difficile realizzare qualche forma di soddisfazione.
Ciò farebbe la differenza fra vivere e sopravvivere, ma per accedere a questa possibilità occorre anzitutto essere sovversivi, ossia andare contro il modo corrente di pensare, per non rimanere irretiti nei pregiudizi che connotano la parola “anziano”.
Per questo viene virgolettato il termine, ossia per prendere le distanze da una categoria sociale che subordina la persona, complice talora “l’anziano” stesso, e che la induce a vivere una vecchiaia a comando.
E ciò non solo quando l’età avanzata è caratterizzata dalla passività, ma anche quando è improntata al giovanilismo, alle prestazioni, volte in fin dei conti a negare la vecchiaia stessa come peraltro vorrebbe l’attuale società.
La soddisfazione di cui parliamo non è la conseguenza di prestazioni, semmai del pensiero che le presiede, del rapporto che si ha con qualsiasi fare e che può essere appannaggio di qualsiasi persona, compreso un allettato cronico.
E’ questo pensiero, in quanto si collega al desiderio individuale, che va favorito nell’“anziano” e che può essere assecondato anche in una Casa di Riposo, attraverso adeguati rapporti e pratiche di soddisfazione che portano alla meta, alla conclusione del pensiero stesso.
Il progressivo aumento della longevità si sta definendo sempre più in termini di sopravvivenza piuttosto che di vita perché, a mano a mano che passano gli anni, risulta sempre più difficile realizzare qualche forma di soddisfazione.
Ciò farebbe la differenza fra vivere e sopravvivere, ma per accedere a questa possibilità occorre anzitutto essere sovversivi, ossia andare contro il modo corrente di pensare, per non rimanere irretiti nei pregiudizi che connotano la parola “anziano”.
Per questo viene virgolettato il termine, ossia per prendere le distanze da una categoria sociale che subordina la persona, complice talora “l’anziano” stesso, e che la induce a vivere una vecchiaia a comando.
E ciò non solo quando l’età avanzata è caratterizzata dalla passività, ma anche quando è improntata al giovanilismo, alle prestazioni, volte in fin dei conti a negare la vecchiaia stessa come peraltro vorrebbe l’attuale società.
La soddisfazione di cui parliamo non è la conseguenza di prestazioni, semmai del pensiero che le presiede, del rapporto che si ha con qualsiasi fare e che può essere appannaggio di qualsiasi persona, compreso un allettato cronico.
E’ questo pensiero, in quanto si collega al desiderio individuale, che va favorito nell’“anziano” e che può essere assecondato anche in una Casa di Riposo, attraverso adeguati rapporti e pratiche di soddisfazione che portano alla meta, alla conclusione del pensiero stesso.
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La Soddisfazione nella Casa di Riposo – cap. 01 – Vivere e sopravvivere
